Per l’ultimo appuntamento nel carinissimo locale di Via Bausan a Napoli, Mario Lombardi e Marina Alaimo hanno portato da Cap’alice i vini irpini de I Favati.

L’azienda di Cesinali (AV) è stata rappresentata nell’occasione da Rosanna Petrozziello, che insieme al marito Giancarlo e al cognato Piersabino Favati gestiscono la bella realtà produttiva irpina sin dal 1996.

Rosanna ci ha raccontato una storia di recupero di vigne di Greco, Fiano e Aglianico che, come tante altre, sarebbero state condannate all’espianto o alla produzione intensiva mirata al conferimento a grossi produttori.

L’energica signora ha trovato il coraggio di rinunciare a un impiego a tempo indeterminato in banca per spingere il marito e il cognato a curare la vigna che apparteneva alla loro famiglia sin dagli inizi del ‘900 per ricavarne qualcosa di bello e di buono.

Il risultato è venuto dopo alcuni anni e molti sacrifici, ma è dal 2007, con la scelta di affidarsi al giovane e promettente enologo Vincenzo Mercurio, che c’è stata una netta inversione di tendenza in vigna e in cantina.

I vigneti aziendali ricadono nel territorio del Comune di Atripalda (AV) in una zona dove, pedoclimaticamente parlando, la vite non trova la sua massima espressione ma, attraverso una grande attenzione in vigna, vendemmie differenziate dal mese di settembre alla fine del mese di ottobre (in funzione dell’annata) e l’uso della crimacerazione in cantina, il risultato è stato sorprendente.

La corretta interpretazione del terroir e dei vitigni è stata l’arma in più de I Favati per raggiungere un grande risultato, che oggi, attraverso due verticali, possiamo ritrovare nel bicchiere e comprendere al meglio.

Marina Alaimo conduce la degustazione dei vini e si comincia con il Fiano di Avellino DOCG “Pietramara Etichetta Bianca” nelle annate dalla 2010 alla 2013.

La vendemmia di questo Fiano viene effettuata per ultima, a fine ottobre, come terzo passaggio in vigna: la prima vendemmia è a settembre con i grappoli situati nella parte bassa della pianta (destinati alla spumantizzazione per la loro carica di acidità e la maturità fenolica che non progredisce ulteriormente a causa della la loro esposizione), la seconda è tra fine settembre e inizio ottobre con i grappoli situati nella parte mediana della vite (con i quali si realizzano i vini “base”).

All’assaggio i vini presentano tutti un colore carico dal giallo paglierino della 2013 al dorato della 2010.

Il naso ha uno sviluppo costante nelle quattro annate. I toni verdi, iodati, agrumati, floreali e di fruttato fresco dell’annata più giovane evolvono piacevolmente e con linearità nel tempo rimandando ad aromi fumè, di nocciola tostata, di grafite, toni sulfurei, frutta e scorze d’agrumi canditi, della 2010. Il sorso è in tutte le annate molto piacevole, persistente e pieno. Anche i calici più giovani presentano un’acidità ed un leggerissimo tannino ben equilibrati dalla parte grassa e alcolica del vino.

La sensazione generale è che si sia riusciti a tirare fuori il meglio dall’uva Fiano proveniente da questo lembo di Irpina.

Si passa al Greco di Tufo DOCG “Pietrantica Etichetta Bianca” nelle annate dalla 2009 alla 2012.

Stessa metodologia di conduzione delle vigne e di vendemmia come per il Fiano. Anche qui viene usata la tecnica della criomacerazione e il colore del vino ne è testimone.

Il colore giallo intenso passa dal paglierino carico al dorato col trascorrere degli anni. Rispetto al Fiano rilevo un andamento più incostante nello sviluppo del vino, probabilmente dovuto alla delicatezza dell’uva Greco che risente fortemente delle annate e del processo di lavorazione. Al naso le note iodate con sbuffi di zolfo, nespola, melone bianco, giglio della 2012 virano su sentori maturi e forti di melassa, burro di cacao, vaniglia, frutta candita, note ferrose e marine delle annate meno recenti. Il sorso è salino, fresco, corposo con leggera tannicità ed è bello persistente.

Rispetto al Fiano, sento che il Greco potrà avere ulteriori margini di miglioramento nei prossimi anni, forse anche in virtù di un migliore adattamento al territorio.

Come ogni serata da Cap’alice sono i piatti a fugare ogni dubbio e ad aprire la mente ad ulteriori considerazioni sui vini grazie all’abbinamento gastronomico. Ottimo il polipo alla brace su crema di patate e fiore di zucca fritto ripieno di ricotta, così come la tagliata di tonno rosso con insalata di scarola con arancia. Il dolce finale è giunto con uno choux ripieno di crema al limone accompagnato da frutta fresca.

Ora non ci resta che attendere la prossima stagione per scoprire quali novità enologiche ci vorranno proporre Marina e Mario.

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