10 luglio 2011 – Da Sant’Agata dè Goti, attraversando la splendida campagna che circonda il Monte Taburno, lambiamo Benevento e giungiamo in Irpinia: Taurasi (AV) è la nostra mèta di oggi. Contrariamente a come si può facilmente pensare non è un comune montano, essendo situato ad appena 400 metri di altitudine e conta meno di 3000 abitanti.

Le origini della città sono molto incerte, alcuni parlano del 300 a.c., altri dell’anno 1000 d.c., ma l’unica cosa certa è che l’attuale tessuto urbano della parte antica è medievale. Qui si produce il rinomato vino Taurasi che porta il nome della città e di cui vi è notizia in documenti storici a partire dal 1200 d.c. (questa storia mi pare di averla sentita già in Toscana, ma quello, secondo loro, è un altro mondo) e questo splendido prodotto, assieme agli altri buoni frutti di questa terra meravigliosa che è l’Irpinia, ci hanno attirato qui. Oggi a Taurasi la condotta Slow Food della Valle dell’Ufita e Taurasi ha organizzato “Andar per Taurasi”, una bella manifestazione eno-gastronomica con tanti simpatici eventi collaterali quali degustazioni di vini e prodotti tipici, visite alle cantine e persino le lezioni della scuola di tarantella Montemaranese.

A due chilometri dal centro del paese, mentre osserviamo dal finestrino dell’auto i filari dei vigneti sapientemente piantati lungo i declivi dei Colli Taurasini, veniamo rapiti dai profumi della campagna arsa dal sole estivo ma comunque verdeggiante e rigogliosa. Ci fermiamo e scendiamo per goderci qualche minuto di contatto con la terra, ma purtroppo il programma è fitto, noi non vediamo l’ora di giungere in paese e quindi ripartiamo dopo poco. Sono le 13,30 quando varchiamo la soglia del freschissimo terraneo in Vico Casale, che a breve sarà attrezzato a luogo di degustazione dei vini di Cantine Lonardo, dove troviamo Flavio Castaldo e Antonella Lonardo intenti a trafficare con una botola nel pavimento. Flavio ci spiega che è l’ingresso alla cantina sotterranea e, naturalmente, preso dalla curiosità e con la simpatica sfacciataggine che mi contraddistingue, lo aiuto ad aprirla e mi ci infilo per primo. L’ambiente ha la medesima estensione di quello superiore e si vede che è stata quasi completamente ricavata scavando nel banco di roccia calcarea su cui sorge l’intero paese. Mi sorprende il bassissimo grado di umidità e penso che anche la temperatura è quella giusta per conservare i vini, specie quelli che si prestano al lungo invecchiamento come, per l’appunto, il Taurasi. Flavio, che di formazione è archeologo, ci illustra che tutte le case a Taurasi hanno una cantina interrata come quella e che quasi tutti ci conservano il vino. Dopo un attimo di silenzio e qualche sguardo d’intesa capiamo entrambi che ne stiamo per architettare una delle nostre, ma di cosa ne verrà fuori ne parlerò più diffusamente dopo. Emergiamo dalla cantina tra gli sguardi stupefatti di alcuni visitatori e, tra le risate generali, ci uniamo a loro per buon bicchiere di Grecomusc’, il rappresentativo vino autoctono prodotto da Cantine Lonardo da uve di Lavello bianco e che egregiamente ha accompagnato pizzette, fritturine, pane e formaggio e altre bontà messe a disposizione dei tanti visitatori che durante questa giornata di festa hanno voluto conoscere l’azienda.

Nel primissimo pomeriggio, approfittando di un momento di calma, con Flavio, Antonella, Franco Notarianni, Annito “Nino” Abate e Gabriella Mogavero ci concediamo un lauto pasto a base di fusilli al ragù, pane e peperoncini verdi e rossi fritti, pizza rustica e fritturine di verdure varie, accompagnati dall’ottimo pane “cafone” di San Sebastiano a Vesuvio portato in mattinata da Franco ancora caldo. L’aglianico D.O.C. Campi Taurasini 2008 e il Taurasi 2005 di Cantine Lonardo ci hanno confortato durante il pasto abbracciando alla perfezione il cibo.

Dopo tanta soddisfazione del palato abbiamo visitato il castello, sede dell’Enoteca Regionale Campania, che tra le sue tante sale ospita il “Tau”, un percorso sensoriale per il riconoscimento dei marcatori olfattivi presenti nei vini irpini, alcuni ambienti per ricevimenti, manifestazioni e per la degustazione ed una sala conferenze con annessa una bella, moderna e attrezzata cucina (da cui provenivano i fusilli del nostro pranzo, n.d.r.).

Nella sala conferenze uno splendido pianoforte a coda attendeva solo qualcuno che lo suonasse. E così è stato! Gabriella si è subito accomodata davanti alla tastiera bicolore e, vista l’ampiezza della sala, ha scelto di cantare, applauditissima, “Il cielo in una stanza” di Gino Paoli. Al nostro ritorno Flavio, Antonella, Franco e Nino ci aspettavano per iniziare il particolare tour taurasino che avevamo architettato con uno sguardo in cantina e che abbiamo poi pianificato durante il pranzo, complice il Taurasi dei Lonardo: esplorare la Taurasi sotterranea, quella delle cantine che, come quella di Flavio e Antonella, sono state scavate a mano nella nuda roccia in epoca remota.

Cosi, quasi per gioco, preleviamo Alessandro Barletta (personaggio che non necessita di presentazioni) dalla piazza del paese, sottraendolo ai propri compiti organizzativi per conto Slow Food e ci facciamo accompagnare nel suo paese dei balocchi privato, la cantina con adiacente sala di degustazione. Dietro una doppia cancellata in ferro, più artistica che non protettiva, una piccola rampa di scale ci ha condotto dalla pubblica via fin nelle viscere del paesello. Gli architravi delle volte sono in pietra, e si appoggiano in parte sui banchi rocciosi, che sono parte integrante anche delle pareti e in cui calcare e formazioni argillose formano giochi di colori particolari. Le bottiglie sono sistemate lungo le pareti ed appoggiate a terra su affioramenti rocciosi levigati ad arte. Dal centro del soffitto pende un caciocavallo in stagionatura con tanto di (necessaria) muffa. La sensazione che ci pervade è che una volta entrati in questo piccolo locale di circa trenta metri quadrati si possa perdere percezione con la realtà temporale, che si possa non rendersi conto in che epoca si sta vivendo, anche per merito delle numerose etichette d’annata di Alessandro. Non nascondiamo i nostri desideri sacrileghi nei confronti di alcune delle inermi bottiglie a riposo, ma è il momento di risalire e passare alla sala di degustazione che è li accanto. E’ realizzata sullo stesso stile rustico e senza tempo della cantina, qui Alessandro sfoga la sua passione per le cose buone con gli amici e con Slow Food. L’allegria delle tante serate e la convivialità fanno parte dell’ossigeno che vi si respira. Sono parte dell’atmosfera. Prima di proseguire l’ “Inside Taurasi Tour”, così come l’ho definito io, torniamo verso la piazza antistante il castello perché sta per cominciare la lezione di tarantella a cura della Scuola di Tarantella Montemaranese.

Occupiamo tutta la piazza e ci vengono spiegati i passi base del ballo, che cominciamo ad accennare senza musica tra l’ilarità di tutti noi. Con la musica è tutta un’altra storia, ci lasciamo guidare dai più esperti allievi (riscibboli) e istruttori (pulcinielli) della scuola e col trascorrere dei minuti la nostra danza diviene più sciolta e coinvolgente.

Terminato il ballo ci abbandoniamo sulle sedie che abbiamo trasportato dal terraneo di Antonella e Flavio fino ai bordi della piazza e osserviamo ballare gli instancabili tarantellari. L’atmosfera e la location mi fanno riprovare la stessa sensazione avvertita nella cantina di Alessandro: è come assistere a una festa di tanti anni addietro, in un’epoca indefinita ma lontanissima da quella odierna. Il caldo afoso oggi si sente particolarmente forte, ma noi ci consoliamo con il Grecomusc’ e con un misterioso vino bianco, privo di etichetta, che Flavio e Antonella ci hanno fatto provare con sorriso sornione. I profumi e i sapori sono molteplici, al naso, come in bocca, il vino mostra una complessità notevole. Con Franco e Nino cerchiamo di capire cosa è ma alla fine ci arrendiamo e decretiamo che è un blend indefinibile che odora di Grecomusc’ ma in bocca è simile a un Fiano. Flavio ci spiega che è il risultato della vinificazione congiunta di tutte le uve bianche che vengono conferite all’azienda, o che si trovano nei terreni di loro proprietà,  che non sono adatte alla vinificazione del Grecomusc’ e che, ovviamente, vengono vendemmiate e non buttate. Dentro quella bottiglia c’è Trebbiano, Rovello bianco, Falanghina, Greco, Fiano, ecc. ecc. Ridiamo tutti quando Antonella lo definisce “Lo Scarto”, soprattutto perché è buono e ridendo proponiamo di commercializzarlo con quel nome. 

E’ ora di riprendere il nostro mini-tour, quindi riattraversiamo le viuzze del paese, che con il tramonto si stanno popolando di gente, e di tanto in tanto ci fermiamo in qualche terraneo o presso qualche banchetto per degustare un buon calice di vino con qualche prodotto tipico.

Buoni l’aglianico annate 2007 e 2008 e il Taurasi Neronè annata 2003 de Il Cancelliere di Montemarano (AV) (peccato per le temperature), ottimo il Fiano di Avellino Santari annata 2008 di Filadoro di Lapio (AV), poi l’Aglianico 2008 e il Taurasi 2006 di Elmi di Montemarano (AV) (che promette bene in chiave invecchiamento) e l’Aglianico Racemus 2008 e il Taurasi Roboris 2006 di Giovanni Molettieri di Montemarano (AV).

Per accompagnare i tanti buoni vini ci avviciniamo al “punto ristoro” dove con un modico ticket di partecipazione amichevole si può scegliere tra contorni vari, pizzette fritte, panino con salsiccia arrostita e caciocavallo impiccato.

Ovviamente scegliamo panino con salsiccia e caciocavallo impiccato. Quest’ultimo consiste in una forma di caciocavallo che viene appesa sopra le ceneri della brace, ancora calde ma non roventi, dove viene lasciato ammorbidire per essere poi tagliato a straccetto e appoggiato sul pane abbrustolito. Emozionante il suo abbinamento con l’aglianico locale e, naturalmente, col Fiano di Avellino.

Raggiungiamo la nostra mèta, la cantina della famiglia Casale, dove una volta entrati sembra di essere in un set cinematografico con tanto di ragnatele e polvere finti. Invece è tutto vero. Anche qui provo l’emozione di sentirmi senza tempo circondato dalla nuda roccia nelle viscere della terra. Un baule antico pieno di bottiglie di cui a stento si leggono i nomi dei vini: Chianti, Amarone, Brunello, Taurasi, Barolo e tanti altri, riposano qui a guardia di un’identità antica, di un retaggio umano e contadino fatto di duro lavoro a mano, di architettura e agricoltura eroica e che non deve essere lasciata morire, bensì tramandata alle generazioni future come esempio vero da seguire in contrapposizione al modello di consumismo galoppante e vacuo imposto dall’attuale società.

Terminato l’ “Inside Taurasi Tour” ci è venuta fame e, naturalmente, sete. In piazza c’è uno stand di vendita di formaggi e non c’è nulla di meglio in giro per poterci godere qualche sorso di buon Taurasi Lonardo. Fatta la spesa torniamo a casa di Antonella e Flavio, dove ormai siamo padroni incontrastati, tiriamo fuori il pane di San Sebastiano al Vesuvio, tagliamo il formaggio, stappiamo tutto lo stappabile e ci concediamo una bella cena scambiandoci le reciproche impressioni sulla bella giornata. Sono le 23 e Napoli ci aspetta.

A malincuore salutiamo Taurasi e abbracciamo i nostri meravigliosi amici, che hanno trasformato una giornata di anonima degustazione di vini all’esterno di una bella cittadina in una giornata di cultura, di storia, di emozione, di allegria, di festa e di convivialità particolare, vissuta dall’interno delle case e delle persone: Inside Taurasi!

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